dimanche 15 novembre 2009

Una ragazza che diffonde le voci, ecco una "radio putachju"!



 Piazzetta delle chiese di Porto-Vecchio.



In Corsica, quando si tratta di voci si parla di putachji. Qualcuno che è noto per parlare di putachji è chiamato putachjonu o per fare più corte e più cativo putachjò. C'è un vero vocabulario svilupato con questa parola. Ce ne una che mi piace, "radio putachju". Si dice di una persona che è una radio putachju per mostrare che parla sempre della gente e che solo la vita degli altri l’interessa. E un termo affetivo communque è un vero fenomeno e sopratutto è un' instituzione sociale che simboliza l'anima di una città, di un villagio, di una famiglia. 

Per essere una "radio putachju" bisogna a sbrogliarsi sempre per sapere tutto, per essere nella confidenza e dopo diffondere quello che hai imparato agli altri.Connoscere la genealogia delle famigle e tutti i legami che esistono tra le personne è una cosa indispensabile. Generalmente sono le donne che hanno questo ruolo. Quella definizione descrive abastanza bene una amica mia, Vanessa, che tene il suo talente di sua madre. Sè camini con Vanessa sei securo di fermarti tutte le cinque minuti per dire buongiorno a qualcuno e ogni volta fà un commento sulla personne che abbiamo giusto encontrato; “U tintu, la sua fidanzata l’ha lasciato dui giorni fà”... In un mezzogiorno puoi imparare più che la tua menta poteva immaginare. Quello che non sapevo è che quelle amica era appassionatta di genealogia. Connesce tutte le famiglie di Porto-Vecchio, Bonifaccio e dell’ Alta Rocca (Ci vuole sapere che gli abitanti di Porto-Vecchio vengono tutti dall’Alta Rocca dove abbiamo tutti una casa in un villaggio di montagna, ne parlerò più tarde). E per quello che ha comminicato degli studii di genealogia, “in Corsica c’è un bisogno” mi ha detto.


Il mio villagio di montagna un giorno di Scirocco.



“Jessy! Mickey!" E si sente la voce di Fifine, la pettegola del mio villaggio di montagna che chiama i suoi cani. Quella voce l'ho sentita tante volte, e sempre per parlare degli altri. Anche se abita li tutto l’anno sa tutto di tè, anche il giorno al quale sali alla tua casa per l'estate, sfugendo il caldo di Porto-Vecchio e i "pinzuti". Te accoglie con il suo grande soriso, certo, ma a la Fifina piace parlare e se non li dici di fermarsi, rimane a casa tua tutta la giornata. E per quello che mia madre corre sempre quando Fifine e la sua grosse voce annoncia il suo giro nel villagio, "Jessy! Mickey!". Caminando da un punto del villaggio a un altro si ferma a quasi dappertutto. Per me Fifine è l’incarnazione del villaggio, l’ho sempre vista e la vedo ancora. 


 Radio Corsica Frequenza Mora



Bonghjornu a tutti, sono le otto e mezzo ecco dopo le informazioni il Forum comminciarà, avrete fino alle 10 per parlare del cuotidiano, della politica e dei vostri problemi.” La voce di Jean-Michel Fraticelli, presentatore di Radio Corsica Frequenza Mora, risuona ancora nella mia mente. Tutte le matine il  Forum fa partecipare i corsi alla vita “cittadina” dell’isola (Tuttavia definirei quel programo di basso livello). I politichi rispondono alle polemiche lanciate da gente che gli sono opposti, i cantanti e i musicista provano di farsi sentire, le vecchie donne parlano dei loro problemi con il cane del vicino e i sindicati della volontà delle autorità di cambiare il nome dell’ aeroporto Campo dell’ Oro do Aiaccio in aeroporto Napoléon Bonaparte... Quando uno sà qualcosa di importante su un altro lo fà sapere agli altri. Quanti uomini politichi si sono battuti su quella radio e quante polemiche si sono proseguiti nei giornali ? Il Forum è un’emissione di radio putachji. La zia di mia madre chiama spesso il Forum e per non essere riconnosciuta da uno di i suoi secondi nomi. Parla allora del piccolo fiume che c’è nel villaggio e che l’impedisce di uscire del suo terreno i giorni di grosse pioggie. Ci fa ridere nella famiglia perché la riconnosciamo e ne parliamo sempre al pranzo con miei nonni. 


 Avrei potuto parlare delle donne che leggono nel olio per connoscere il tuo futuro e per dare l’ochju, il malocchio. Quelle donne fanno parte di quella società delle voci e sono chiamate i Mazzeri. Avrei anche potuto parlare della tradizione che esiste nel nord della Corsica che si chiama i chjami e rispondi. E in parole che si organizzano i legami trà le personne, forse per non dimenticare che la cultura corsa è orale.


lundi 9 novembre 2009

I caccia-bufala stimolano il dibattito


LE VOCI PURE HANNO I LORO INVESTIGATORI


1 / LE ANTICHE RADICI DELLA BUFALA

[attraverso le leggende e le bufale] "gli uomini
esprimono inconsapevolmente i propri pregiudizi,
gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni".
Marc Bloch, Riflessioni sulle false notizie della guerra (1921)

     Proviamo ad essere onesti. A chi non è mai capitato abboccare ad una bufala, cascare nella medesima catena di Sant’Antonio o provare a far scoppiare chicchi di mais col telefonino ? Questuno a cui la vivenda non è mai capitata, vergine di ogni credulità è di certo o sovraumano o vittima di una mensogna a se stesso, preda della sua bufala. Cosi, confessare la sua propria ingenuità con modestia è spesso l’unica cosa da fare per rimanere onesti con se etessi.
     Ma non preocupiamoci, le voci infondate a cui aderiamo sono anziché una forma di ignoranza barbare e vergognosa un simbolo di umanita. Ci troviamo rassicurati di vedere la bufala come il proprio dell’uomo, quel essere sociale che vive il quotidiano in un flusso continuo di informazioni. Annegati da queste voci, è piu facile sottomerterci all’ autorita dei narratori qualunque siano (com’è possibile per esempio rimettere in dubbio la partizione del belgio quando questa venne annunciata dalla RTBF in dicembre 2006). Ed inoltre facilissimo lasciarsi guidare dalle nostre paure, sentimenti a altri mezzi che ci fanno apprezzare il mondo con parzialità e preguidizi. Cosi veniamo ad essere coinvolti nel trasmettere false notizie. Ci sentiamo pure valorizzati dal nostro nuovo ruolo di predicatore di verità occultate, ed abitato da questa falace scoperta ci affrettiamo nel diffondere con piacere la nostra bufala.


2/IL NUOVO TERRENO DI GIOCO DELLA BUFALA

     Assumendo questa modesta riflessione sulle radici delle voci, leggende metropolitane e altre bufere, un blog, http://attivissimo.blogspot.com si è perciò proposto di svicerare le false rivelazioni, le notizie sussurate a grande velocità su internet. Sarebbe finalmente apparso un bastione di verosimilità nel mare del web partecipativo, laddove le fonti autorevoli sone scarse. La tela, ormai diventata inseparabile dal quotidiano del medio occidentale, è in effetti diventata il mezzo più rapido per la diffusione di voci a scala mondiale, creando così un villagio globale che condivide il vero e il falso senza distinzione. Gli utenti sono diventati i piu grandi produttori di bufale, sfumando nel mondo del web 2.0, le frontiere trà verosimile e veridico, sospetto e condanna.


3/ I WEB-PREDATORI DELLE VOCI

     Questo blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico adetto di debunking (cioè l’atto di demistificare e razionalizzare le affermazioni pseudoscientifiche), si propone perciò di indagare sulle voci diffuse su internet, confermandole o inversamente infermandole. Alla maniera di un « detective antibufala », l’autore chiede peraltro ai membri di completare e arricchire l’inchiesta con appositi complementi d’indagine. Avendo un atteggiamento cinico nei confronti delle voci, risalendo le fonti dell’informazione, misurando il tornaconto degli autori, e infine osservando la verosimilità dei dati esposti, Attivissimo pretende smontare la maggior parte delle bufere di massima notorietà su internet. Il vantaggio di questo metodo, oltre quello di usare un metodo analitico assai rigoroso, è quello di fare partecipare il piu gran numero nello smantellamento invece che nella produzione di news ingannevoli, incantevoli, e talvolta totalmente affabulatrici. Potete qui sotto cliccare su questi collegamenti per leggere le indagini su alcune celebre voci.

Sull’undici settembre : http://undicisettembre.blogspot.com/

     Infine, queste analisi, oltre a ricercare il lodevole scopo di verità, crea una dialectica costruttiva trà i tenenti della voce e quelli come Attivissimo metteno alla luce gli argomenti incompleti o fraudulosi. Creando il dibattito, siamo spinti ad accumulare sempre piu dati sulle vivcenda che portano a controversa. Riguardando queste opposizioni è particolarmente noto il dibattito trà complottisti e i suoi detrattori riguardando gli eventi dell’undici settembre. Man mano, spuntano fuori alcuni dati indubitabili che, imbozzacchiscono il margine di incertezza delle note voci.
     Rendere affidabile il mondo dell’internet, ecco una missione assunta coraggiosamente dagli autori di http://attivissimo.blogspot.com, un desiderio piuttosto essenziale per rendere finalmente realista il diritto all’informazione. Un passo verso l’uguaglianza trà i cittadini tramite l’accesso alla conoscenza mediatoca e scientifica? Utopico mi direte, ma di certo la piccola pietra che pone questo blog non è di certo inutile, affinche il web non sia un « muro della vergogna », ma un vero e proprio ponte attraverso le culture.


MARTELLI Jean-Thomas

dimanche 1 novembre 2009

Il deserto dei Grandi Laghi

 
Normalmente, l’automobile è associata all’idea di rendere accessibili dei luoghi lontani, rompere i confini. Ma nella città americana dell’autombile, Detroit, senza macchina, non hai accesso a un’alimentazione sana.

 
Questo fenomeno è chiamato negli Stati Uniti, il “food desert”. Non interviene solo a Detroit, ma come al solito a Detroit, i problemi americani sono amplificati dal quasi abbandono della città dopo la crisi dell'autombile americana. Altre città degli Stati Uniti conoscono questo fenomeno come Chicago o Cleveland.
La definizione di un “food desert” è una zona dove ci si mette due volte più tempo per andare a un supermercato da una stazione di servizio o una drogheria. L’offerta di prodotti alimentari per la gente dei food desert si compone solo di ortaggi marci, o schifezze che minacciano la salute degli abitanti di Detroit. Dei ricercatori hanno stimato che la metà dei cittadini di Detroit vive in un food desert, cioè più di 550 000 personne che non hanno accesso a un’alimentazione sana. La conseguenza di questo fenomeno, aggiunto ai problemi cronici di povertà, insalubrità delle case, o la droga, è che gli abitanti di Detroit hanno una speranza di vita media di 11 anni inferiore alla media americana.
 
L’origine di questo fenomeno è complessa. Viene in parte dall’abbandono di Detroit in seguito alle rivolte urbane degli afro-americani nelle anni 60, dopodiché i bianchi hanno smesso di vivere all’interino di Detroit e sono andati nei sobborghi. La città è diventata una delle prime a conoscere il fenomeno dell’urban sprawl, cioè l’espansione urbana sfrenata degli anni 70 negli Stati Uniti. Questo fenomeno fu amplificato dalla costruzione iniziata nel 1956 dal presidente Eisenhower dell' Interstate Highway System, una rete oggi di 75 000 km che connette le città ai loro sobborghi. A Detroit, dove il fordismo si fonde sull’ideale di una macchina per tutti gli impiegati, gli operai hanno potuto vivere nel sobborgo e lavorare nella città. Hanno lasciato i neri in città. Adesso, l'82% dei abitanti di Detroit sono neri e il 12% bianchi. La segregazione non è mai veramente cessata negli Stati Uniti.

Samuel Goëta


I nuovi muri....




Mancano pochi giorni all'anniversario della caduta del muro di Berlino. Ma, vent'anni dopo, l'entusiasmo non è più lo stesso. 

Anche se il 1989 ha segnato il nostro tempo. Perché quel muro marcava una divisione al tempo stesso geopolitica, economica, ideologica. Fra sistemi democratici e regimi comunisti, liberismo e dirigismo. Fra mercato e statalismo. La sua caduta ha prodotto effetti violenti. Anche da noi. In Italia. Il regime più socialista dell'Occidente. Visto l'intreccio fra economia, politica e stato. Il muro, in Italia, è crollato qualche anno dopo. Nel 1992. Ha seppellito la prima Repubblica. Il partito comunista più importante dell'Occidente costretto a cambiar nome, pelle e identità. I partiti di governo, spazzati via da Tangentopoli, ma anche dalla fine della rendita di posizione garantita dall'anticomunismo. 

Vent'anni dopo la caduta del muro di Berlino, quindici anni dopo il crollo della prima Repubblica, l'emozione si è un po' raffreddata. Non solo per effetto del tempo, della routine. È l'impressione che altri muri siano sorti al loro posto. Alcuni, negli stessi luoghi del passato. Anzitutto, il comunismo. In Italia non se n'è mai sentito parlare così tanto come da quando non c'è più. Comunisti. Tutti coloro che stanno a sinistra. Di Berlusconi. Anzi: tutti quelli che sono contro di lui. D'altronde, il suo successo politico si deve anche - e in buona misura - a questo. Aver tenuto vivo l'anticomunismo senza - e dopo - il comunismo. Al posto del muro di Berlino: il muro di Arcore. Per costringere l'elettorato di centrosinistra dentro gli stessi confini del Fronte Popolare nel 1948. Anche se da allora è cambiato tutto, nella politica e nella società. 

Proprio per questo, però, le passioni si scatenano - talora - più violente di prima. Perché non sono in gioco diverse idee della storia e del futuro. Ma stili di vita, opinioni, valori che riguardano la vita quotidiana. E al posto dei partiti ci sono le persone. I leader. Pubblico e privato: senza soluzione di continuità. Sotto gli occhi di tutti. Comunicati sui media. Per cui le differenze vengono ribadite, gridate. Scavano solchi profondi. Mentre ieri erano (auto) evidenti e riconosciute. 

Il muro di Berlino. È crollato insieme allo statalismo e al trionfo del mercato e del privato. Ma oggi, dopo il disastro della finanza globale, in Occidente si assiste al ritorno dello Stato. Invocato dovunque e soprattutto in Italia. Per proteggere i settori sociali colpiti dalla crisi. Sempre più ampi. Ma reclamato anche dagli attori del mercato stesso. Gli imprenditori. Perfino le banche. Cosa farebbero senza il soccorso dello Stato? 
E poi gli Stati nazionali. La fine del muro di Berlino ne annunciava la crisi. Insieme ai confini. Parallelamente al rafforzarsi di altre - e nuove - entità sovranazionali. Sono sempre lì. Evocati e invocati. Attenti a rivendicare la loro autorità. All'interno dei loro confini. Per quanto cambiati profondamente, rispetto a vent'anni fa. Si veda la "grande" Germania ri-unita. Così pronta a tutelare il proprio interesse nazionale. 

Certo, il crollo del muro ha allargato ad Est le frontiere d'Europa. Ci ha avvicinati all'Oriente. E ha favorito il flusso di milioni di cittadini. Attraverso confini sempre più aperti. E noi, impauriti dal numero crescente degli immigrati: ci fingiamo "padroni a casa nostra". Invochiamo altri muri. Nuovi muri. Per terra e per mare. Ma, soprattutto, erigiamo nuovi confini davanti e intorno a noi. Preferiamo non vedere. Non confonderci. Con gli stranieri: che restino tali. 
La caduta del muro di Berlino, vent'anni fa. Ha allungato la nostra storia recente. Ci ha ributtato indietro, ben oltre gli anni Ottanta. Fin dentro agli anni Settanta. Con cui non abbiamo mai saputo fare i conti. Così, quarant'anni dopo, abbiamo abbattuto anche il muro del Sessantotto. Liquidato senza rimpianto da molti critici. Talora, gli stessi protagonisti di quella stagione. Non ce n'era bisogno, in realtà. Il Sessantotto era già finito da tempo. Ma al suo posto è emerso l'antisessantottismo. Di chi invoca il ritorno dell'autorità perduta. Dei padri e dei professori. Delle istituzioni e dei valori della tradizione. 

Nuovi muri. Che, paradossalmente, ridimensionano trasformazioni sociali e conquiste civili importanti, che parevano irreversibili. Basta pensare alla divisione di genere. Tante lotte e tante contestazioni. Nel privato e nel pubblico. Il femminismo. Le pari opportunità. Contro la segregazione femminile nelle carriere. Nel lavoro, nelle professioni. Contro l'immagine della donna-oggetto. Per ritrovarci, oggi, in un paese di veline. Dove le misure che contano, per le donne, non riguardano certo il quoziente intellettivo. Dove la sessualità è esibita come segno di potere. Usata come merce sui media. Dove si ironizza su Rosy Bindi, "più bella che intelligente". Neanche cinquant'anni fa... 
Fra tanti nuovi muri che sorgono intorno a noi, solo uno pare definitivamente crollato. Quello fra le generazioni. Padri e figli. Professori e studenti. Anziani e giovani. Duro da scalare, per i ragazzi. Marcava il cambiamento. L'innovazione sociale. Oggi non c'è più. Perché i ventenni, nati nel 1989 (come il mio figlio maggiore), sono impegnati ad affrontare il loro eterno presente. Precari per definizione. In bilico. Senza passato e senza futuro. E senza territorio, vista la loro confidenza con le tecnologie della comunicazione ("Info-nauti", li hanno definiti nei giorni scorsi Luigi Ceccarini e Martina Di Pierdomenico su Repubblica. it). Mentre gli adulti latitano e i vecchi sono scomparsi. Vista l'ostinazione con cui insistiamo a dirci tutti - eternamente - giovani. 

Così, vent'anni dopo, è difficile non cogliere un po' di nostalgia. Del Muro. Quand'era uno solo. Visibile. A modo suo, rassicurante. Capace di separare il giusto dall'ingiusto e il bene dal male. Mentre oggi che è crollato - e il mondo è più largo e più aperto - incontriamo muri ovunque. Piccoli e invisibili. Siamo noi stessi a costruirli. Per bisogno di riconoscerci. Per paura di perderci. Per paura. 

vendredi 23 octobre 2009

Qual’è la frontiera tra un terrorista e un combattente della libertà?


Qual’è la frontiera tra un terrorista e un combattente della libertà?


Dall’undici Settembre, il mondo sembra avere scoperto l'ampiezza del terrorismo e le sue implicazioni sui civili. Con l’aumento dal 2003 degli attacchi terroristi (nazionali, ma non internazionali), ci si continua a interrogare a proposito dello statuto delle persone coinvolte in questi atti? Cioè quale reazione devono  intraprendere gli Stati riguardo agli autori dei turbamenti. Con la reazione degli Stati si definisce anche la risposta del diritto nazionale e internazionale di fronte alla violenza e alle azioni clamorose. Ci sono due opzioni : o l’autore dell’atto è considerato come un “agente del male”, cioè come un terrorista, o all'inverso, come un individuo che segue le sue credenze politiche che possono giustificare l’uso della violenza (se permette come in Montenegro di accelerare un processo politico iniziato da lungo tempo), cioè come un combattente della Libertà. Ma, chi decide dell’etichetta da dare? Qual’è la frontiera tra un terrorista e un combattente della libertà?
Per prima cosa, si deve studiare la motivazione dell'autore. L’atto terrorista si definisce come l’atto di un gruppo che vuole imporre un cambio politico, sociale o giuridico grazie all’uso del terrore. Un combattente della libertà si oppone a uno Stato perchè considera che quest’ultimo non rispetta i diritti di una minoranza del popolo. Dunque, tutti e due hanno obiettivi politici e usano la violenza per dare più rilievo alle loro azioni.
Secondo, possiamo vedere qual'è il tipo delle loro azioni : la violenza è usata da entrambe le parti. In ogni caso, si nota una differenza nel grado della violenza e nelle persone mirate. Il terrorista sarebbe più violento, e i suoi attacchi sarebbero indiscriminati. Mentre il combattente avrebbe il potere, cioè i delegati o gli ufficiali, di scegliere la propria vittima, e non farebbe niente ai civili “innocenti”. Ma queste differenze non sono una regola rigorosa.
Ci sarebbe allora una frontiera specifica, quella data dagli Stati. Per uno stato come Israele, i Palestinesi sono dei terroristi, mentre per gli altri paesi arabi, è il contrario. Nelson Mandela è stato considerato come un terrorista quando c’era ancora l’Apartheid. Oggi è un eroe che ha vinto il razzismo di stato e dato un esempio di causa giusta da difendere anche se si deve entrare in conflitto con lo Stato, istanza suprema nell'ordine mondiale.
La frontiera non si trova nella definizione, neanche nell’analisi dei fatti, ma nella soggettività dello Stato il cui territorio è il teatro degli attacchi terroristi. Non è impermeabile la frontiera tra un terrorista e un combattente della Libertà. Il tempo e la comunità internazionale sono i due elementi che possono tracciare una frontiera

Mélaine Benassi


jeudi 22 octobre 2009

Carbon tax?

Ieri, il mondo era diviso tra frontiere, stati, nazioni ma anche mari, montagne, deserti... tanti ostacoli spaziali visibili e chiari/evidenti. Oggi il muro è crollato, le frontiere si sono aperte, gli scambi non smettono mai. Il mondo è in moto permanente e non finisce di produrre, di consumare, di inquinare.  Il modo di produrre e il consumismo occidentale non hanno trovato confini, si sono sviluppati in modo sfrenato sulla superficie del globo. Ma il capitalismo ha tracciato una nuova frontiera quella tra i paesi ricchi occidentali e i paesi del sud più poveri che cercano bene o male di svilupparsi. I paesi industrializzati e sviluppati hanno delocalizzato le fabbriche nel terzo mondo che produce quasi tutti  i beni fabbricati nel mondo, lasciandogli tutti problemi d’inquinamento legati alla produzione industriale.  

E' un problema di prima importanza con i nuovi principi e norme internazionali di sviluppo sostenibile. La creazione di nuove norme in questi paesi in via di sviluppo è confrontata a un doppio problema : lo sviluppo di strutture durevoli, e lo sviluppo sociale del benessere. Non hanno ancora colpito il livello di sviluppo e di stabilità che devono costringersi a dei normi e dei obietivi effetivi di riduzione dei emissioni di CO2, che i paesi ricchi non ce l’ha fanno. (???) Tre principi  formulati al vertice di Rio compensano quest handicap e squilibrano questi svantaggi: primo il principio di debito che i paesi ricchi hanno verso i paesi in via di sviluppo per avere inquinato in eccesso, per avere approfittato del loro ritardo (di sviluppo)e perfino per avere svuotato le risorse del pianeta. Il secondo é il principio di sviluppo comune ma con una responsabilità distinta che suggerisce uno sviluppio più equilibrato e giusto tra i paesi industrializzati e il terzo mondo (che ha una responsabilità piu alta per il fatto che i paesi ricchi possiedono le tecnologie avanzate e un sistema di politiche dell' ambiente, i centri de ricerca e la conoscenza). Il terzo é il principio di giustizia e d'equità. Questi principi sono iscritti nei protocolli e nei trattati internationali che regolano il consenso sullo sviluppo sostenibile e le politiche dell'ambiente che ha firmato inoltre la Francia. 

Questa Francia (con il sostegno di Berlino) che vuole imporre l’idea svedese di una “carbon tax alle frontiere” qualche mese prima del vertice di Copenhaguen, a tutti paesi che non vogliono firmare il futuro protocollo, o che non rispetterebbero i principi e gli obiettivi. La carbon tax sarebbe una tassa sui prodotti importati la cui produzione non rispetta le norme di produzione sostenibile e di emissione d’anidride carbonica. Ma i paesi interessati alla tassa sono i paesi produttori di beni industriali: i paesi del terzo mondo che ospitano le industrie e le aziende dei paesi sviluppati. Dov’é il principio di gustizia et di equità? Inoltre i paesi ricchi dovrebbero svolgere un ruolo di appoggio e d’assistenza finanziaria allo sviluppo di una crescita sostenibile. L’idea di carbon tax viene al contrario a opporsi ai principi formulati precedentemente: di giustizia, di svilupp a differenti livelli, e di  appoggio. 

Si aggiunge un’altra frontiera alla fontiera che divide il mondo sviluppato e il terzo mondo, quella dell’ambiente e della gestione dell’inquinamento, una frontiera ancora piu assurda per il fatto che non si possono erigere confini contro l’inquinamento. La nuvola radioattiva di Chernobyl si era fermata alle frontiere della Francia nel 1986, mentre Nicolas Sarkozy pensa di fermare la nuvola inquinata e d’anidrida carbonica ai confini della Francia, e con ambizioni, ai confini dello spazio Schengen. Se l’iniziativa francese era di incoraggiare la ratifica del trattato di Copenhaguen (7/12/2010), il volontarismo politico rischia al contrario di ostacolare il dialogo e le trattative del vertice.

mercredi 21 octobre 2009

Dove si trova il Monte Bianco ?


La frontiera, nel primo senso della parola, è una barriera fisica. Il territorio è proprio il primo soggetto che viene in mente. E pure le frontiere non sono sempre semplici e chiare. La storia sul Monte Bianco ne è la prova.



Dove ti trovi quando infine sei arrivato in cima al Monte Bianco? Domanda stupida, davvero ? Invece gli studenti italiani e gli studenti francesi apprendono che il Monte Bianco, cima più alta d’Europa, è rispettosamente sul loro paese. Qui sta il punto !


Per capire la lunga disputa tra Italia e Francia su questo punto, bisogna tornare all’epoca dall’annessione della Savoia alla Francia nel 1860. I due paesi firmarono il trattato di Torino che divideva in due la vetta del Monte Bianco, cioè era frontaliero. Tuttavia nel 1865, il capitano Mieulet, un francese, realizzò una carta che inglobava in tutto il Monte Bianco sul territorio francese. Per gli italiani questa carta è ovviamente un falso storico senza valore giuridico.


Quindi dal XIX secolo all’oggi, Italia e Francia non hanno smesso litigare a proposito della frontiera nelle Alpi. Anche se i due club alpini francesi e italiani hanno provato a fare una carta condivisa con il progetto « Alpi senza frontiera », questa non è stata riconosciuta officialmente. I francesi riconoscono il Monte Bianco sul loro territorio e il Monte Bianco di Courmayeur come frontaliero. Mentre gli italiani dicono che il Monte Bianco è frontaliero e il Monte Bianco di Courmayeur si trova in tutto sul loro territorio.


Magari i due paesi smetterebbero di bisticciare su questo punto se i popoli del Caucaso rivendicassero la più alta cima d’Europa (con 5633 metri) il loro Monte Elbrouz. Infatti il Caucaso appartiene alla catena degli Urali, frontiera naturale tra Russia e Francia.
Nella logica della recente abolizione delle frontiere, questo problema si trasforma in una stupida rivalità per la cima più alta -almeno per adesso- d’Europa…


Charlotte Moalli